giovedì 6 febbraio 2014

You won't worry about earthquakes - Telegraph Hill G.L. Pease


Telegraph Hill di Gregory L. Pease, nella pipa in cui lo sto fumando adesso: una Charatan Special 320 DC degli inizi Era Dunhill (circa 1980)

Scrivo delle mie pipe e dei miei tabacchi ormai da un po' di tempo, eppure, rivedendo l'indice dei vecchi articoli prima di cominciare questo, mi rendo dell'ingiustificabile rarità degli articoli dedicati a quello che è con ogni probabilità il più grande blender moderno: G. L. Pease.
Perché tanta avarizia? Forse che i tabacchi di GLP mi piacciano meno di tante altre marche a cui ho dedicato ripetuti omaggi? Più probabilmente, il contrario. 
L'aggettivo più adatto per descrivere lo stile di GLP è "intricato". Raramente i suoi tabacchi escono dalle categorie codificate, quasi mai usano ingredienti esterni (e quando lo fanno, è qualche goccia di rum usato durante la trasformazione in cake), sempre sono fatte col miglior tabacco che il denaro possa comprare. Eppure fumandole quasi mai ti trovi di fronte a qualcosa di diretto, facile. Sono più tabacchi da concentrazione che da relax. E quando arrivi in fondo alla pipa, non sei mai così sicuro di avere capito tutto quello che c'era da capire. "Ne scriverò la prossima volta", pensi. E intanto la scatola finisce... E se è difficile parlarne quando ne stai fumando, ancora più improbabile diventa rimettere insieme i ricordi, appunto, intricati e cercare di fare un ritratto che rende minimamente giustizia al lavoro di chi ha creato quell'equilibrio fragile, cangiante, che non ti è ancora riuscito di mettere in parole. "Sarà per la prossima scatola", pensi. Ma riempita la pipa, acceso il fiammifero, tutto si ripete identico. Come al giorno della marmotta.




La scatola, fuori e dentro. Netto il predominio dei virginia orange e rossi, maturi, gloriosi. Quello del perique è solo un accento. Ma è quello giusto.

Per venirne fuori, stavolta, arrivato verso la metà della scatola, ho deciso di mettermi una pipa in bocca e scrivere, semplicemente, senza pianificare quasi niente. Credo sia l'unico modo di non cadere ancora una volta nella trappola di GLP. La magia non si batte con la pianificazione, forse ci riuscirò con l'improvvisazione.
Appena lo apri, il Telegraph Hill è già una sfida alla tua abilità di descriverlo. L'odore ha qualcosa dei vecchi virginia inglesi, quando prendono di fico secco. Ma di complemento c'è anche quella punta acetica, così tipicamente americana, che ben conosce chi ama i virginia McClelland. Quell'odore che insieme allo zucchero che trasuda dalle foglie ricche dell'Old Belt fa venire in mente l'aroma del ketchup. E' un virginia un po' del vecchio mondo e un po' del nuovo, insomma. E forse per questo ha il nome di un luogo simbolico di San Francisco. Il perique c'è, indubbiamente, ma non ti calcia sulla faccia, non ti trapana le narici. E così rimane una volta che lo accendi.
Tutto quello che ti aspetti da quello che vedi e annusi, nel Telegraph Hill c'è anche quando lo fumi. I virginia sono maturi, dolci, grassi. Il perique è come il triangolo nell'orchestra, o come il pepe nel panpepato: quando vibra, lo senti. Ma tintinna con misura.
La nota dominante resta quella di un dolce molto soddisfacente, morbido, pieno di sfumature e di giochi interni, un intreccio di virginia in cui quasi nulla (o forse nulla) è più chiaro di un bell'orange carico. E poco è più scuro. Forse c'è un po' di firecured ma veramente poco, non tanto per dare forza ma per dare un contrappunto alla sofficità dominante. Per me, fino a questo momento, si è rivelato il virginia più godibile di GLP.
E' un tabacco da fumare ad occhi socchiusi, godendo tutto quello che le sue curve morbide ti regalano ad ogni svolta. Mentre lo fumi, poco di quello che succede intorno potrebbe interessarti.

Per ora l'ho fumato in queste pipe: una Dunhill County gruppo 4, una aerofusi di Daniele Fusi e una chimney Dunhill Cumberland, con army mount in corno.

Caratteristica di quasi tutti i tabacchi di GLP, costruiti come sono su equilibri delicatissimi, è quello di essere molto cangianti da pipa a pipa. Lo fumo in pipe ben avvezze ai virginia un po' conditi, e ogni volta mi sorprende un po'. Più autoritario nella Dunhill quadrata, più rotondo e dolce nella pipa di Daniele Fusi (che con il suo sistema a calabash inversa esalta alcune frequenze, ma non il perique, come mi fanno le aerobilliard di Radice con altre miscele). Ancora acerbo nella Dunhill chimney che si sta svezzando. E' un tabacco che costa, ma è anche un tabacco che in una scatola sola contiene infinite sorprese. Sono soldi ben spesi, anche perché il rapporto qualità/prezzo è difficile da battere quando il numeratore tende a infinito.

sabato 1 febbraio 2014

Il vento dell'Est





Poche cose sono confuse e opinabili come la nomenclatura delle miscele. Se è difficile andar d'accordo parlando di politica mediorientale, trovare un accordo sulla definizione di una miscela può risultare addirittura impossibile.
In questo campo astruso, forse il vertice della esotericità è raggiunto dal termine "Oriental Mixture". Chi ha qualche anno di pipa sulle spalle forse ricorda che questa definizione un tempo troneggiava su molte preziose scatole inglesi. Per un blender inglese "Oriental Mixture" è stato per lunghi anni sinonimo di miscela che ai tradizionali tabacchi coloniali (perciò in primis i virginia americani o di altre zone dell'Impero) aggiungeva i profumi esotici e le qualità di controllo termico dei tabacchi "orientali". Un aggettivo piuttosto vasto che, un po' come sulle vecchie carte dell'Impero Romano, riuniva in un'unica categoria tutto il vasto ed esplorato non-mondo esterno ai confini domestici. In questo caso, "orientale" stava ad indicare tutto ciò che proveniva dall'emisfero turco: balcani, Cipro, Anatolia, Siria, tabacchi potenti o profumati, leggeri o intrisi di fumi grassi come il latakia. Il latakia era una parte non ben distinta di questo tutto, e perciò la "oriental mixture" di un tabaccaio di Bond Street era grosso modo quella combinazione di Virginia di varia provenienza e tabacchi turchi tra cui il latakia. Così tipica delle miscele britanniche di tipo aristocratico (ben altri essendo i tabacchi di uso popolare) da prendere altrove il nome, non meno confusionario, di "miscela inglese".

Oggi quegli stessi miscugli di tabacchi si chiamano con molti nomi diversi, per esempio "english mixture", "latakia mixture" o anche, ancor più recentemente "balkan mixture" (categoria artificiale nata dal marketing un po' acchiappatutto, sovrapposta alle prime due, che assume significati diversi a seconda di chi la usa, e dunque del tutto inutile e confusionaria). Ma non più "Oriental Mixture".

L'Oriental Mixture è diventata un'altra cosa: una miscela ad alto tasso di orientali, generalmente senza o con solo una leggerissima ombra di latakia (che oggi si tratta sempre più come un tabacco distinto dagli orientali generici), mescolati al Virginia. Per quanto alto sia il tasso di orientali, o sia forte sia la caratterizzazione su una singola varietà (oggi siamo diventati più analitici in questo campo) qualsiasi miscela orientale, con rare eccezioni, continua ad avere il Virginia come suo componente principale.

Le Oriental, in accezione moderna, sono miscele di cui in Italia esistono pochissimi esempi, e poco rappresentativi. Anche per questo, per chi di tabacchi conosce poco, continua a essere difficilissimo capire di cosa sappiano questi tabacchi fantomatici dell'Oriente. Una soluzione è quella di assaggiare gli orientali puri che si trovano in due differenti combinazioni sfuse da Dubini, a Chiasso (raccomandabile quella di Poul Olsen). Esisteva in Italia anche la Orient Spezialitat Torben Dansk. Oggi è fuori commercio, e comunque non è una perdita gravissima, visto che il tipo di orientale che conteneva era piuttosto aspro e sigarettoso.
Tutt'altro mondo in termini di gradevolezza e ricchezza cangiante,  è quello della miscela di turchi puri in bulk di McClelland. Almeno per chi riesce a mettere le mani su una quota di questo bulk, tanto economico quanto stratosfericamente buono. Dopo averlo fumato in purezza per un periodo, ho deciso di provare a usarlo per una miscela orientale-inversa, ovvero per un mix in cui fosse il Virginia a fare da contrappunto alle volute contorte, esotiche, tostate, di questa incredibile falange di aromi.

Ho pensato a una proporzione di 3/4 orientale e per il quarto di virginia ho messo insieme una squadretta a base dolce, con una piccola dose di McCranie Red Flake usato delinquenzialmente nel mio pastrocchio per dare un po' di "cilindrata" alla squadra di virginia.

Ne è risultato un tabacco che definirei "da meditazione". E come una di quelle bottiglie di marsala cinquantenario che si tengono sul fondo del bar, da sorseggiare non tanto in momenti speciali, quanto in situazioni in cui ci si sente singolarmente ispirati a divagare verso sentieri dell'immaginario particolarmente tortuosi. Ho un paio di Dunhill di misura mediopiccola in cui questa miscela brucia in modo che trovo ideale. Un po' allungate, leggere, lasciano salire le loro volute psichedeliche mentre mi allungo sul divano a occhi socchiusi.

Penso sia un Oriente non meno appagante di quello che avrebbe potuto avvolgerci in una fumeria dell'East Side. Ma quando la brace ha fatto la sua strada e la pipa si fredda, è decisamente più facile venirne fuori.


Toni's Oriental No. 1

- 75%  --  McClelland Blended Turkish Ribbon
- 25% --  Virginia Blend  (--> 66% Torben Dansk Virginia Mysore 1.6 mm; 17% Golden Glow; 17% McCranie's Red Flake)